Ok, dai, la seconda fase è andata meglio: il viaggio Arizona-Montreal è stato divertente e allegro.
Ale ha dormito tutto il tempo.

Intendo nel volo più lungo, quello da cinque ore, in cui eravamo vicini. Anzi no, quando si è svegliato ha avuto una breve parentesi-merenda, con panino alla Nutella e banana, dopodiché ha preso in ostaggio il mio telefono (“Eh, il mio è scarico, tu hai ancora il 30%!”) e le mie cuffiette e si è guardato un cartone. Poi c’è stata una coincidenza abbastanza critica, della durata di meno di un’ora, a causa di un ritardo del primo volo, in cui abbiamo dovuto correre per prendere l’altro aereo, a Toronto. Eravamo anche con gli altri del gruppo con cui si allena, e meno male che loro sono tutti triatleti, non hanno avuto nessun problema a correre per l’aeroporto! Io sì… e credo anche il coach e il fisioterapista!
Piccolo particolare, non ci sono arrivati i bagagli: nessuna delle loro biciclette e nessun bagaglio da stiva. Lo sapevo io che porta sfiga viaggiare coi triatleti! (da sola non mi è mai capitato!).
Nel secondo volo, comunque, era sveglio… Ma due file indietro. La scena, dopo aver visto gli schermi sui sedili, è stata: “Vale… Tu scrivi?”
.…E io: “Ho capito… Vuoi le mie cuffie?”.

In ogni caso, comunque, stavolta è stato bello andare all’aeroporto insieme, fare il check-in, entrare, gironzolare insieme per negozi… Ah, no. Scherzavo. Non sarebbe da noi!
Noi siamo entrati, io ho trovato il mio posticino sulle poltrone, lui si è cambiato ed è andato fuori a correre; un’ora e un quarto. A Phoenix ci sono solitamente più di 100° Fahrenheit, l’equivalente di tipo 40°nostri. Ma fin qui ok, l’aveva fatto anche all’andata. Tanto per lui non succede nulla in aeroporto, posso star tranquilla, da sola, almeno fino a quando un tizio ubriaco non si viene a sedere traballante proprio di fronte a me, e dopo cinque minuti mi trovo circondata non da uno, non da due, ma da ben tre poliziotti, con notevoli pistoloni in tasca. Quando è tornato si è pure scocciato perché mi sono alzata in tutta fretta e tra un po’ entravo con lui nel bagno degli uomini pur di togliermi da lì.
Il nostro viaggio poi si è concluso, tanto per non rompere la tradizione, con una separazione. Teatro sempre l’aeroporto di Barcellona, ormai ci siamo affezionati, se un giorno prenderemo un cane lo chiameremo El-Prat. Lui è andato a Karlovy Vary per la coppa del mondo, io sono tornata a casa.
È stata una sensazione strana: da una parte, anche dopo tanti anni di viaggi e partenze (di lui), ogni volta un po’ di tristezza c’è a separarsi (lo chiamano “trauma da abbandono”); però ero anche felice di tornare. Mi aspettavano la nostra casetta, i miei amici, l’ultima settimana di vacanza prima dell’inizio della scuola, Olimpia (sì, ho un cane che si chiama Olimpia ed è arrivata nel 2012, ma prima di trovare un fidanzato olimpionico), e soprattutto i nostri nipoti! Quelli che già conoscevo, e soprattutto quellO da conoscere… che doveva farsi perdonare il fatto di essere nato proprio mentre la zia era dall’altra parte del mondo, e scontare quindi la punizione di rimanere sempre in braccio, per recuperare tutti gli arretrati… Ma non penso gli dispiaccia.

Comunque anche questa volta Ale ha voluto aggiungere un tocco di originalità al nostro “saluto”: dopo essere tornato da una corsa intorno all’aeroporto (ormai è diventata abitudine, io intanto faccio la guardiana delle valigie e della sua bici), mi ha mandata avanti dicendomi: “Tu vai e passa i controlli, io imbarco la bici e poi ci vediamo al tuo gate”. Poi si è trovato trenta persone davanti al drop-off.
Io l’ho aspettato al gate, seduta, per la prima volta sono entrata come ultimissima persona dell’aereo (però avevo il posto 1F, fantastico!), ma lui non ha fatto in tempo ad arrivare.
Cioè… Ok che sarebbe stato difficile salutarsi, però io di solito la lacrimuccia la faccio per molto meno… Lasciarmi proprio così, senza neanche un bacetto, è stata davvero una crudeltà!
Non mi sono messa a piangere solo perché ero in mezzo alla gente… ma CON ALE NON VALE! Neanche all’aeroporto.