Un’estate strana, questa, senza mare, senza costume, senza aperitivi con gli amici e vestitini leggeri. Sono partita da casa il 4 luglio, prima diretta in una fredda e piovosa Amburgo, e poi, dopo un viaggio della speranza e 30 ore senza dormire (l’aereo non è che sia proprio un mezzo che mi concilia il sonno, e neanche la macchina, a dir la verità, se guida Ale), sono approdata in una secca e desertica Arizona. È stato bello riconoscere come familiare un luogo, anche se così distante da casa: l’averci passato un mese anche la scorsa estate me l’aveva reso conosciuto, ed ero già preparata ai controsensi americani e alle loro spropositate grandezze. Qui è tutto grande: dalle strade, che non hanno meno di 3 corsie per senso di marcia, alle confezioni degli alimenti (la farina da 1kg non esiste, solo dai 4 in su); dalle case (la nostra camera è praticamente un monolocale, con bagno, divano, tv, e cabina armadio) ai supermercati (in cui devi entrare col maglioncino viste le temperature polari che si raggiungono con l’aria condizionata). Hanno auto enormi, che però non possono superare le 35 miglia, pena che ti mettono in galera se ti fermano, oltre a puntarti la pistola addosso; in cinque settimane qui, una volta ho visto una Mini. Mi sono quasi commossa per le sue dimensioni “normali” (era la Countryman, però, mica quella piccola). Oltre a preparare un sacco di cose per il matrimonio, mi ero ripromessa di fare un sacco di sport: non mi sono portata la bici, Ale mi aveva scoraggiata dicendo che ci sono solo due strade, e sono sempre quelle, e neanche tanto belle dal punto di vista del traffico. Volevo nuotare, camminare, andare in palestra. Nella prima settimana, essere alle 8 in acqua non era un problema: ci svegliavamo tutte le mattine alle 5, alzarsi dal letto alle 7 per andare a far colazione era quasi un sollievo.

La seconda settimana il mio ritmo di sport si è tragicamente interrotto per un’infezione all’occhio sinistro, che non mi ha permesso di mettere le lenti a contatto. Essendo che sto ancora mettendo le gocce, la piscina del campus universitario non l’ho più vista se non in foto su Instagram. Però, ogni due giorni andavo in palestra. Mi mettevo sulla cyclette, il mio Kindle, e pedalavo finché gli atleti (quelli veri) non finivano i loro 4-5mila m di nuoto. Le ultime due settimane, la mia motivazione ha avuto un significativo crollo: Ale rientrava dal nuoto alle 9.30-10, sperando di trovare i pancakes pronti, e invece trovava me ancora a letto o, nella migliore delle ipotesi, seduta sul divano con la mia tazza di caffè (sono diventata drogata di caffè americano, non so come farò a tornare all’espresso ora), che leggevo. Ero molto titubante ad abbandonare i libri per il Kindle, ma a settembre dell’anno scorso, dopo aver esaurito tutto lo spazio della libreria a casa, dopo solo un anno di convivenza, e dopo essere venuta in America con 6 chili di libri in valigia, ho deciso di convertirmi. Per chi viaggia, è in assoluto una scelta vincente. Vero che non hai il piacere di sfogliare le pagine, ma in un mese ho letto 13 libri, che mai avrei potuto mettere in un bagaglio. Quindi ok, non mi sarò allenata tanto…. Ma voglio vedere loro, grandi atleti, in quanto li leggono 13 libri… un paio d’anni?? Comunque, a due giorni dal rientro a casa, non posso dire di non essere contenta. Mi mancano i miei nipoti, mi manca bere uno spritz con le mie amiche, mettermi in costume a prendere il sole… Certo, domenica io e Ale ci saluteremo per rivederci tra 20 giorni. Ma al momento abbiamo fatto abbastanza scorta di tempo insieme da non essere poi troppo dispiaciuti di questa lontananza. Lui volerà a Tokyo per il test event sul percorso olimpico del prossimo anno, io, dopo un giorno a Phoenix, avrò un nuovo viaggio della speranza di una 30ina d’ore per arrivare a casa, e non vedo l’ora, poi, di poter fare le ultime cose pratiche per il matrimonio. Non lo avrei mai creduto, ma l’ansia è alle stelle. Credo sia scattato qualcosa il 7 agosto. Immaginarmi ad un mese di distanza, la notte prima del gran giorno, mi ha fatto venire la “battarella”; Ale che dormiva beato al mio fianco, non mi aiutava certo a sfogare le mie ansie e a prendere sonno. È incredibile come la percezione del tempo possa cambiare all’improvviso. In questi 8 mesi sono successe e abbiamo fatto un sacco di cose, eppure a volte sembra ieri quel momento in cui Ale si è inginocchiato davanti a me con la scatoletta dell’anello, dicendomi: “Mi vuoi sposare?”. A gennaio non riuscivo ad immaginare come sarei arrivata ad agosto-settembre, ma ero sicura che non mi sarei fatta prendere dal panico, che non ce n’era alcuno motivo. Se certo… Le ultime parole famose… Mi consolo nel confrontarmi con una delle mie più grandi amiche, che si sposa la domenica dopo di noi (no, non l’abbiamo fatto apposta e neanche se ci fossimo messe d’accordo saremmo riuscite a sposarci ad una settimana di distanza): oltre ad avere manifestazioni fisiche di vario genere (d’altra parte, si sa che le donne somatizzano lo stress), fin da subito siamo state entrambe in costante ritardo coi preparativi, ed entrambe abbiamo futuri mariti poco collaborativi, che, tra le altre cose, come minimo ci faranno venire anche i capelli bianchi quel giorno. Ma si sa, “l’amicizia moltiplica le gioie e divide le angosce”, perciò ci confortiamo a vicenda, nonostante il brutto presentimento di arrivare a quel giorno che saremo dei catorci, altro che delle sposine perfette. 

Eppure, nei controsensi e nelle difficoltà, quest’estate rimarrà nei nostri cuori come una delle più speciali. Perché un giorno passa in un lampo, e in particolar modo il giorno del matrimonio dicono tutti che duri un soffio. Ma il viaggio per arrivarci… quello è lungo… Quello è iniziato non con un anello, ma molto, molto prima. È iniziato con un incontro, nel nostro caso totalmente inaspettato e fortuito. È iniziato con dei sorrisi, con degli sguardi complici, con una presentazione: “Comunque piacere, Alessandro”. E chi mai avrebbe pensato che un giorno iniziato come qualunque altro, potesse portare, dopo qualche anno, all’attesa di questo giorno? (…e no, non sto parlando dei miei 30 anni, quelli per fortuna me li sto praticamente dimenticando!).

CON ALE NON VALE, perché una delle frasi che più piacciono ad Ale è proprio questa: quella che spiega come sia il viaggio ciò che conta, e che dobbiamo godercelo in ogni suo aspetto e sfaccettatura. “In fondo, non è forse vero che l’attesa del piacere è essa stessa il piacere?”.

Tralasciamo che sia la frase della pubblicità del Campari. 

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