Ieri era santa Valeria. Mio fratello, che si chiama Stefano e per ovvi motivi tutti sanno quando si festeggia il suo onomastico, dice sempre che del mio è già tanto se me ne ricordo io e, al massimo, la nonna Rita. Ieri ho scoperto che neanche la nonna se ne è ricordata stavolta, e quando gliel’ho detto io è andata a controllare sul calendario. Il migliore, chiaramente, è stato Ale a colazione. Io: “Lo sai che giorno è oggi?” Lui: “…” Io: “E’ santa Valeria” Lui: “…” Io: “Auguri eh…” Lui: “Ah, sì… Auguri amore”. Insomma, zero soddisfazione.
Ma l’occasione era perfetta per fargli la classica battuta: “Eh, proprio santa Valeria… Barbieri! Per sopportarti ancora…”. Ieri sera ridevamo via video con un nostro amico prete, a cui Ale ha detto: “Sì, oggi sarà anche santa Valeria, ma poi per tutti gli altri 364 giorni (365 in questo caso, visto l’anno bisestile) è sant’Alessandro”. Mi è tornata in mente una “pillola di saggezza” che mio papà ci ha letto al termine della celebrazione del nostro matrimonio, qualche mese fa: ci diceva che, nella Chiesa, siamo tutti chiamati ad essere santi, e che nella nostra nuova famiglia, da quel momento, io e Ale diventavamo, l’uno per l’altra, lo strumento per raggiungere la santità. In verità, riferito a me, diceva anche “strumento e tormento”, aggiungendo che lui Ale l’aveva avvertito, dopo 30 anni di esperienza e di passi avanti nel raggiungere la sua santità con me come figlia, ma che da quel momento in poi, doveva vedersela solo lui.
Che dire? Che la via della santità passi anche attraverso l’esperienza della quarantena?? Quando ancora eravamo in ritiro in America, in casa in cinque, abbiamo riso alle notizie dei divorzi in Cina dopo il coronavirus, abbiamo commentato il pericolo di crisi dopo la convivenza forzata dovuta all’epidemia. Però Ale, in un inusuale sprazzo di romanticismo, ha dichiarato: “Beh, a me non dispiacerebbe però stare 14 giorni a casa solo con te: lo farei volentieri”. E abbiamo realizzato che noi mai, fino a quel momento, avevamo davvero vissuto insieme e a lungo. In ritiro si è sempre in tanti, tantissimi, a condividere spazi, pasti e anche alcuni momenti di svago. A casa, nei brevi periodi in cui ci stava, tra il lavoro, gli allenamenti, gli amici con cui recuperare le uscite, le famiglie da vedere, da soli ci stavamo comunque molto poco. In questo 2020 così strano e insolito, invece, è dal 1 febbraio che io e Alessandro siamo praticamente sempre insieme; tre mesi interi in cui neanche per una notte abbiamo dormito separati… ancora non l’ho mai neanche mandato sul divano! Da più di un mese siamo solo io e lui, fuori dal mondo, lontani da famiglie e amici. Non c’è nessun altro con cui prendersela se si ha la giornata storta, se si inizia a sentire il peso dello stare chiusi dentro casa, se inizia a star stretto il pedalare sui rulli, se mancano i nipotini da abbracciare, se si ha fame, sonno, o freddo ai piedi. Solo tu e lui, lui e te. E allora capisci davvero il senso di quella frase: “…diventate, l’uno per l’altra, strumento per raggiungere la santità”.
Una santità che non è fatta di grandi cose, di miracoli, non è questo che ci viene chiesto. Ci viene chiesto solo di essere aperti, all’altro e per l’altro, di avere un po’ più di pazienza anche quando non ne hai voglia, o ti sembra di non averne più. Tutta questa situazione ci sta chiedendo sacrificio e impegno, a chi in un modo e a chi nell’altro, a chi più e a chi meno. Noi ci consideriamo tutto sommato fortunati, stiamo bene, le nostre famiglie e amici anche. La preoccupazione e l’ansia ci sono, l’incertezza di un futuro che non si sa come andrà spaventa sempre. Ma abbiamo pensato di affrontarlo come una sfida, concentrandoci nel vivere la nostra quotidianità fatta di cose semplici, di pasti preparati e condivisi insieme, di allenamenti sempre e comunque “a distanza ravvicinata”, che tanto anche se corre nel campo dalla finestra io vedo lo stesso. Nel frattempo, ci impegniamo anche a percorrere un pezzetto di quella strada, in cui non servono mascherine e distanze, anzi, in cui si deve stare vicini per potersi parlare e capire senza bisogno di urlare, arrabbiandosi; la strada della santità. Dentro quattro mura e senza contatti con l’esterno è più complicato ma, chissà perché, le cose complicate sono anche quelle più belle.
CON ALE NON VALE, comunque, perché in questa via verso la santità tocca anche trasformarsi e mettere in campo abilità che non si pensava di avere. Ad esempio, da parte mia la precisione nel rasargli i capelli; da parte sua, la fiducia nel lasciarmelo fare, dicendo semplicemente: “Vabbè, tranquilla; tanto anche se sbagli, siamo solo io e te…”. Parola di sant’Alessandro Fabian…
ha ragione tuo fratello… auguri eh, ma Santo Stefano è un’altra cosa
Siete solo stati fortunati ad avere un nome famoso, eheheh 😛