Cosa cambia davvero in una coppia davanti ad un test positivo? 

La sera del giorno in cui abbiamo fatto il test di gravidanza di Alvise, il 18 maggio 2021, noi ci siamo ritrovati a letto a chiederci se davvero ci stessimo rendendo conto di quel che era successo.

“Ma ti pensi che abbiamo creato una cosa, dal nulla? Prima non c’era, ora c’è”. Succede, senza sapere perché proprio quel giorno, proprio in quel momento, e se fosse stato poche ore dopo no. Per noi è stato relativamente “facile”, non ci sono voluti molti tentativi, e siamo consapevoli di quanto questa sia un’immensa fortuna, per la quale siamo grati quotidianamente. Perché la paura di non riuscire un po’ ti prende sempre, quando vedi che una cosa apparentemente così semplice, che tutti fanno, a te non viene nel momento in cui decidi di volerla. Le variabili sono infinite, le storie che incontriamo sui social possono far bene e male allo stesso tempo, possono incoraggiare o spaventare, e a me in quel momento un po’ spaventavano, specialmente in quei soli due mesi di tentativi “falliti”. E poi… Chissà se va tutto bene. Meglio aspettare a dirlo, ma quanto? 

Noi eravamo in una situazione particolare, ancora vivevamo in appoggio a casa dei miei ed era difficile nascondere le nausee che sono cominciate praticamente subito. E poi avevamo troppa voglia di condividere la nostra gioia, anche se è coincisa con un periodo delicato della carriera di Ale. Diciamo che la condivisione è avvenuta con pochissime persone, perché poi tra ritiri, gare e lui che non c’era mai, nonostante il primo trimestre fosse stato superato brillantemente (oddio, io continuavo ad avere le nausee lo stesso), abbiamo aspettato settembre per dare l’annuncio ufficiale e io ero già al quinto mese!

Tra le tante cose di quella gravidanza di cui ho un ricordo nitido, c’è anche la sensazione provata prima e dopo ogni ecografia. Quel misto di ansia, speranza e preoccupazione che qualcosa vada male, di ricevere una brutta notizia… impossibile non provarla. Ma poi, il sospiro di sollievo e la voglia di ridere e piangere nello stesso momento nel sentire il dottore esclamare: “Ed eccolo qua il nostro eroe! È qui che salta…” Strano che salti già e non stia fermo un attimo, il figlio di Fabian… 

Abbiamo avuto la prova anche di quanto si dice sempre riguardo il “sentirsi” mamma e papà e l’avere la consapevolezza che il viaggio sia già iniziato. Per una donna è più semplice: lo percepisce il cambiamento, ci pensa, involontariamente spesso quella mano finisce sempre lì, su una pancia che ancora non si vede (e se si vede, c’era già prima ed è quella che usiamo per coprire gli addominali), e in qualche modo si pensa già “Non sono più sola”. Perché è proprio così: da quel momento non siamo più sole e non lo saremo per un bel pezzo.

Si diventa casa, uno spazio accogliente e caldo, il preferito in assoluto per quello che è e sarà il nostro bimbo o la nostra bimba. Per un papà è diverso. A volte realizzano quando glielo mettono tra le braccia questo frugoletto e ancora fanno quell’espressione tipo: “Ma non può essere figlio mio… come posso aver fatto io questa cosa?”. Tranquilli, il contributo iniziale è stato minimo (per quanto fondamentale e necessario, grazie), poi ci abbiamo pensato noi mamme. 

Come mi ha detto saggiamente un triatleta alla fine di una gara, guardandosi intorno davanti ad una zona cambio piena di uomini che sornioni e felici andavano a recuperarsi le loro biciclette: “Meno male la Natura ha dato a voi questo compito. Ma ci vedi…? Guarda, siamo tutti qui a giocare a fare triathlon, come potrebbe un uomo avere una responsabilità così importante??”.

Per loro è difficile realizzare davvero. Ok, vedono un corpo cambiare, una pancia crescere, muoversi, sentono calci, il suono del battito alle ecografie… Ma la portata di quel che sta accadendo è spesso troppo grande. Perciò ecco, nove mesi forse sono pochi, ma chissà quanti gliene servirebbero… Fabian, col suo senso pratico, ha però pensato di rendere questo cambiamento tangibile. Di farsi una specie di promemoria, come per auto-ricordarsi, ogni volta che si guardava allo specchio, che stava davvero diventando papà: la sera del test è andato a tagliarsi i capelli. Corti. Via i boccoli degli ultimi tre anni, ormai diventati biondi tra cloro, sale e sole, che aveva imparato a curare perfino col balsamo e le maschere. Quella sera lo stavo aspettando per cena coi miei, era (stranamente) in ritardo. Quando me lo sono visto entrare così, praticamente un ragazzino di 17 anni, mi sono dovuta trattenere perché avevo già capito per quale motivo lo avesse fatto. Certo è che quella sera, a letto, dopo i filosofici ragionamenti sulla vita e i massimi sistemi, gli ho anche chiesto: “Ok, ma adesso così vuoi fare più il toy-boy o il ragazzo-padre?”

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