Negli ultimi anni, pensando al “quando sarò incinta…”, mi vedevo sempre come una che avrebbe sfruttato tutto il tempo libero, in quegli 8-9 mesi, per fare attività fisica e leggere, con lo scopo di arrivare in forma fisicamente e preparata teoricamente al parto e ai primi mesi del bambino. Serve dirlo che, ovviamente, non sono riuscita a fare decentemente nessuna delle due cose?

Alvise mi ha stroncata, da subito, tanto che non ho mai avuto dubbi sul fatto che fosse un maschio. Mi sono ricordata di un episodio di Grey’s Anatomy in cui la dottoressa Bailey diceva al capo di essere incinta e il sesso del bambino con queste parole: “E provi a indovinare che cos’è il mio? Gli uomini… Subito, fin dall’inizio ti succhiano via la vita dal corpo!”. Esattamente come mi sentivo io, e aggiungevo sempre contro Ale: “Si vede che è figlio tuo, guarda non ci sono dubbi!”. Mentre lui in pancia scalciava senza sosta già da prima di iniziare il quinto mese, io fuori non riuscivo a fare quasi nulla. Passavo dal letto al divano (con tappe anche in bagno, e no, non solo nei primi tre mesi). Era estate ma non riuscivo a bere acqua perché sennò vomitavo, e faceva comunque molto caldo per riuscire a fare qualsiasi cosa.

A settembre siamo andati a Londra per la Super League, e sarà stato il cambio d’aria, il tornare in mezzo agli atleti e tutto, ho iniziato a stare un po’ meglio. A casa ho ripreso a fare qualche camminata sull’argine, 7 km al giorno; nel tardo pomeriggio era più fresco, bere l’acqua non era più così deleterio, insomma, ho avuto 20 bellissimi giorni in cui pensavo “La gravidanza è proprio una figata”, e stavo benissimo. È durata, appunto, venti giorni. 

Poi, tra reflusso e un’autonomia-pipì che si era ridotta da casa fino ad arrivare in fondo alla via, ho gettato la spugna. Mi hanno dato il permesso di portare fuori Kobe, dopo un po’ che era arrivato nella Barbafamiglia, assodato che fosse abbastanza gestibile e non rappresentasse un pericolo per una donna incinta, ma le sue continue pause con zampa alta rendevano la passeggiata un continuo “stop and go” in cui se si arrivava a fare un km e mezzo era già tanto. 

Nel frattempo cresceva il mio senso di colpa. Sapevo di dover fare movimento, sapevo che quel fantomatico “pavimento pelvico” andava in qualche modo allenato… Ho tirato fuori la fitball (gonfiata a bocca da Fabian) e quello già è stato qualcosa. Le ostetriche del corso preparto consigliavano di dimenticarsi il divano durante la gravidanza e di stare il più possibile sulla palla. Ok, tenendo conto che non guardiamo mai la tv, non è stato troppo difficile sostituire le sedie con una palla gigante che è diventata la principale attrattiva per i miei nipoti, oltre che per i peli del cane. Se non altro, quella notte in cui sono iniziate le contrazioni, si è dimostrata davvero una valida alleata e me l’ha fatta passare alleggerendo un po’ tensioni e dolore.

Fabian che, tornato da allenamento, dice “Dammi qua” e gonfia a bocca una fitball.

Insomma, di sport vero e proprio, di ginnastica adattata alla mia condizione di donna incinta, di lezioni di nuoto per gestanti (con la questione Green pass per le piscine in un momento in cui ancora si discuteva se vaccino in gravidanza si/vaccino no), ne ho fatto gran poco. 

Ma, c’è un ma… se porti in grembo in figlio di un triatleta sai già che anche la gravidanza, come il resto della vita, non sarà mai un periodo di “riposo, in cui godersi relax e gioie della maternità”. Eh no, perché ci penserà il padre a tenerti in movimento. 

Ci sono i medici che ti dicono “Evitare la bicicletta, magari fare un po’ di ciclette tranquilla”, e poi c’è lui che ti chiede “Mi segui in bici mentre faccio il lavoro di corsa?” (non per compagnia, sia chiaro, ma per portargli acqua e scarpe di ricambio) “Veramente…. Sarei incinta di sette mesi…” E ti ritrovi così, a corrergli dietro a 3.20 al km, non il passo tendenzialmente suggerito ad una futura mamma.

E infine, perché non cacciarci l’ebbrezza di un bel trasloco a inizio nono mese, così, giusto per non farsi mancare nulla? Facevo le scale della soffitta dei miei, portavo giù delle cose, e poi stavo seduta cinque minuti sul letto col fiatone. Nei due giorni in cui ho sistemato la casa nuova, a dicembre, la notte ho sentito delle contrazioni strane, in un punto diverso dal solito… Non mi sono più venute poi, fino alla notte in cui ho partorito. Segno che non era proprio il tipo di allenamento apprezzato dal pupo, che avrà pensato “Se questa continua così, meglio che me ne vada fuori prima del tempo”. Meno male ha poi deciso di rimanere fino alla fine. 

Ogni tanto ci penso e so che avrei potuto fare di più, e farlo meglio. Ma mi viene anche in mente una citazione che dice “Fai quello che puoi, con quello che hai, nel posto in cui sei”.

Io che, tra una nausea e l’altra, seguivo Fabian negli allenamenti pre Tokyo.

Ci sono mille condizioni diverse e mille variabili che entrano in gioco in una gravidanza. C’è chi riesce ad andare a lavorare fino al giorno prima del parto e si sente super energica, chi dal giorno dopo il test è ko e vive nove mesi d’inferno, o è costretta al riposo forzato per proteggere il piccolo; c’è chi, come me, va a fasi, alternando periodi buoni ad altri meno buoni. Mai come in questo momento della vita è necessario ascoltarsi, sintonizzarsi con quello che il nostro corpo ci chiede, è giusto non improvvisare e rivolgersi ad esperti se si decide di intraprendere un percorso di ginnastica, di nutrizione, o di preparazione ad ampio raggio al parto, ma la cosa principale credo sia che tutto questo non deve aggiungere altro stress ad una condizione che, per alcune, è già abbastanza stressante. 

Io ancora una volta ho avuto la conferma di avere accanto un preparatore atletico che, in modo totalmente inconsapevole, sa mantenermi attiva, in movimento, e stressata al punto giusto, da farmi arrivare al parto super in forma e allenata. Però abbiamo fatto anche tante sedute di respirazione e rilassamento insieme, sembrava che il bambino mi uscisse dalla pelle dai calci che tirava, ma tutto sommato un po’ funzionava. 

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